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No, lo “stupro punitivo” delle donne lesbiche non è roba nostra. Nelle società occidentali non si violentano le donne per punirle di non amare gli uomini e neppure le si costringe a un rapporto sessuale con la convinzione di convertirle all’eterosessualità: questa barbarie non avviene mai qui, neppure quando lo stupratore lo dice esplicitamente. Una pratica così brutale non ci riguarda proprio. È un fenomeno degno degli africani, per dire. A dirla tutta, pure le violenze sessuali sono più affare da India e altri paesi lontani. Qui chiudiamo gli occhi e facciamo sogni d’oro.

Chiamare le cose per nome

In questi sogni d’oro, come abbiamo segnalato pochi giorni fa, i media di tutto il mondo hanno giustamente dato spazio allo stupro punitivo di una ragazza lesbica a Città del Capo, in Sudafrica. L’analogo stupro di una ragazza lesbica nei sobborghi di Parigi invece ha suscitato qualche attenzione solo in Francia e nella Svizzera francofona. In Italia c’è stato il silenzio totale. In un sistema mediatico che, per pigrizia più che per cattiveria, tende a limitarsi a tradurre gli articoli dei soliti tre o quattro siti internazionali e a ragionare per luoghi comuni, la scelta di relegare il problema degli “stupri punitivi” e degli “stupri correttivi” all’Africa “selvaggia” purtroppo non stupisce. Stupisce molto di più che questi schemi siano adottati anche dai tribunali.

E così per la corte di Bobigny, vicino Parigi, Nidhal Tarhouni, lo stupratore di una ragazza lesbica di 30 anni, merita la massima condanna (15 anni di carcere), ma il suo crimine non è stato motivato da omofobia. E pazienza se lo stesso Nidhal ha iniziato la violenza con parole inequivocabili: “Ah, ti eccitano le fighe? Adesso ti farò eccitare io“. E pazienza se l’avvocata generale Maylis de Roeck ha ricordato che “il 4% delle donne eterosessuali dice di essere stata vittima di stupro, rispetto al 10% delle lesbiche“. De Roeck aveva detto che “non si può far finta di non capire“, che “bisogna avere il coraggio di chiamare le cose per nome“. E invece per la corte lo “stupro punitivo” non può esistere nelle nostre civili società, non può esistere nella sfavillante Parigi.

Schedata anche la sessualità

Intanto, mentre i tribunali parigini fingono di non vedere l’orientamento sessuale delle vittime di crimini in cui l’orientamento sessuale è fondamentale, i poliziotti francesi potranno raccogliere nella schedatura delle persone informazioni sul loro orientamento sessuale e sulla loro vita sessuale (come anche altri dati sensibili come le convinzioni politiche, le pratiche religiose o le attività sindacali) se, a propria discrezione, lo ritengono “strettamente necessario“. Queste informazioni potranno essere consultate dalle forze dell’ordine, dalla magistratura e dalle autorità civili come i sindaci e potranno essere trasmesse a non meglio specificati “organi di cooperazione internazionale“, con modalità che allarmano le organizzazioni per la difesa delle libertà.

Pier Cesare Notaro
©2020 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da Pikrepo (CC0)

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