Skip to main content

Un suo conoscente l’ha attirata in una casa, dicendole che c’era qualcuno che le voleva parlare. Lì invece l’aspettava uno stupro di gruppo: tre adolescenti dai 14 ai 17 anni l’hanno scaraventata al suolo, immobilizzata e violentata. La ragazza ha subito questo orrore solo perché ama un’altra ragazza: è l’ennesimo caso di “stupro punitivo” (fatto per punire una donna lesbica o bisessuale per il suo orientamento sessuale o un uomo trans per la sua identità di genere) o di “stupro correttivo” (commesso con l’assurdo scopo di far provare un rapporto con un uomo e di “convertire” così una donna cisgender all’eterosessualità o di “fare tornare femmina” un uomo transgender). Due giovani sono stati arrestati, il terzo è ricercato.

La violenza è avvenuta a Città del Capo, la capitale legislativa del Sudafrica, un paese che da anni affronta questo problema senza riuscire a fermarlo. Quando si parla di “stupri punitivi” o di “stupri correttivi”, in effetti, il Sudafrica è il primo paese a cui si pensa. Nel 2011 si stimava che nella solo Città del Capo ogni settimana almeno dieci nuove donne lesbiche subissero questo tipo di violenza: sono passati 9 anni, la città si è ingrandita, il fenomeno non si è sicuramente ridotto, ma anzi per molti osservatori probabilmente è diventato ancora più frequente.

Leggi anche: Sudafrica, paradosso LGBT: ottime leggi e troppe violenze

Non solo Sudafrica

Eppure sarebbe sbagliato interpretare il problema come una questione sudafricana: gli stupri correttivi sono un problema molto più diffuso. E farlo emergere è molto difficile. Ci ha provato il cinema, con un film importante come “Boys Don’t Cry” della statunitense Kimberly Peirce. E ci provano le donne lesbiche e bisessuali e gli uomini trans che denunciano i propri carnefici. Il percorso è lungo e doloroso e deve scontrarsi con una società che attua tutta una serie di strategie per incolpare la vittima o per attenuare la colpa dello stupratore. In Italia, per esempio, si stima che solo poco più del 10% delle violenze sessuali siano denunciate alle autorità. Probabilmente questa percentuale scende ancora di più per gli “stupri correttivi”.

avvocata lesbica metoo ghanaPer questo è importante non limitarsi a denunciare il fenomeno in Sudafrica, ma raccontarlo come un problema globale. E per questo è grave che la storia di Città del Capo abbia fatto il giro del mondo, mentre una vicenda analoga in Francia sia passata quasi nel silenzio (nonostante generalmente la Francia attiri molta più attenzione del Sudafrica, ma in questo caso sembra più importante e facile puntare sugli stereotipi).

Leggi anche: Lesbiche in Tanzania, tra stupri correttivi e politici ostili

Una denuncia a Parigi

Jeanne*, 30 anni, è in giro per Parigi quando viene abbordata da Mathieu*, un giovane di 24 anni. Lui ci prova, lei gli risponde che è inutile: è lesbica. Ma il ragazzo è simpatico e rimangono a chiacchierare con gli amici. Poi Mathieu riaccompagna Jeanne a casa, a Bobigny, un comune subito fuori dalla capitale francese. Qui inizia un contatto erotico, ma lei a un certo punto lo ferma. Lui non ci sta: “Ah, ti eccitano le fighe? Adesso ti farò eccitare io” le dice. Seguono due ore di violenze fisiche e sessuali, in cui Mathieu rinfaccia alla ragazza di essere lesbica, di essersi fatta accompagnare a casa, di avergli detto di no. Lo stupratore finalmente se ne va, approfittandosene per rubare alcuni oggetti e una carta di credito.

Jeanne all’inizio ha chiesto un processo a porte chiuse, spaventata dal coro di “se l’è cercata“, “se gli ha dato corda all’inizio, allora le piaceva“, “era ubriaca“, fino a “gliel’ha fatta annusare, poi non poteva tirarsi indietro“. Ora invece ha scelto un processo pubblico. “Sporgere denuncia per stupro è terribile – spiega – È una lotta lunga e dura che si aggiunge allo stupro. Ma andare fino in fondo alla procedura e sopportare questo calvario, vale la pena se permette alla giustizia di affermarsi“. Venerdì ci dovrebbe essere il verdetto. Al di là della vicenda giudiziaria, però, tocca a noi decidere chi deve vincere: il silenzio su una violenza che non vogliamo vedere o la volontà di creare una società che sostiene chi ne è vittima.

Pier Cesare Notaro
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazione da pxhere (CC0) /  Il Grande Colibrì

Leave a Reply