Skip to main content

Due notizie arrivate in questi giorni dall’America Latina, e le risposte che hanno suscitato nel pubblico, ci permettono di fare qualche riflessione sul rapporto ancora stranamente difficile tra chi difende i diritti sociali e chi difende i diritti civili. La situazione non è tragica come potrebbe sembrare, ma sicuramente rappresenta un ostacolo tanto per la lotta per la giustizia sociale quanto per quella per l’uguaglianza.

San Pedro Castillo…

Iniziamo dal Perù: il (lieve) vantaggio del candidato comunista Pedro Castillo è stato festeggiato con grande trasporto, con articoli e post che, però, tacevano di molte posizioni del politico: non si parlava della sua lotta contro l’aborto, l’eutanasia e i diritti delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), della sua proposta di ripristinare la pena di morte e di rilanciare una guerra alla droga iper-repressiva, dell’idea di offrire l’accesso alle università in cambio di un anno di servizio militare “volontario”, eccetera. Quando si sono ricordati tutti questi dati, molte persone si sono ricredute: certo, resta meglio dell’altra candidata, Keiko Fujimori, ma Castillo non è certo il santo dipinto

Chi ha diffuso le notizie senza contestualizzarle ha provato a negare l’evidenza (persino di fronte alla citazione delle pagine del programma elettorale di Castillo) o ha citato prese di posizioni di attivistə LGBTQIA a favore del candidato, ritagliando singole frasi in modo che l’appello a un “voto critico” per quello che rappresentava il male minore sembrasse un entusiastico abbraccio al suo programma. Ma, in fin dei conti, la risposta principale è stata che “hanno vinto i contadini” (evidentemente tuttə cisgender ed eterosessuali, che non fumano la marijuana e non hanno mai gravidanze indesiderate) e che venire a parlare di diritti civili “è roba da radical chic“. Suvvia, non roviniamo la festa con queste questioni di LGBTQIA, donne e minoranze varie!

…e san Sebastián Piñera

Abbiamo vinto ed è giusto che festeggiamo” è stato un commento molto diffuso quando abbiamo rovinato un’altra festa: quella che si stava celebrando dopo che il presidente cileno Sebastián Piñera aveva detto che voleva approvare la legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. Anche qui silenzio generale su alcuni aspetti “poco simpatici”: non solo il fatto che Piñera non è quello che accelererà l’approvazione della legge, ma colui che l’ha impedita per anni, ma anche la continuità politica del presidente con la dittatura di Pinochet e le atroci violenze che ha scatenato contro le manifestazioni nel paese, con esercito e carabinieri che si sono resi colpevoli di decine di morti, centinaia di ferimenti, innumerevoli stupri…

cile uomo bandiera arcobalenoPossibile che i principali media LGBTQIA non abbiano fatto neppure un accenno a chi sia davvero Piñera e che in molti, anzi, ne hanno decantato l’apertura mentale, arrivando a proporlo come un modello di destra progressista? Possibile, un po’ perché le notizie dall’estero sono proposte solo come traduzioni di articoletti apparsi sui soliti siti gay anglofoni e un po’ perché questi articoletti hanno citato prese di posizioni di attivistə LGBTQIA a favore del presidente, ritagliando singole frasi in modo che comunicati stampa critici sembrassero un entusiastico abbraccio alle sue posizioni (ops, un déjà vu?).

Ostacoli contrapposti

Ora, lo ripeto: no, l’abisso tra chi lotta per i diritti sociali e chi lotta per i diritti civili non è così tragico e anzi spesso non c’è: esistono tantissimə militanti, attivistə e compagnə per cui le due battaglie vanno in parallelo. Esistono poi gruppetti di (presunta) sinistra radicale che rimangono ancorati a schemi manichei: basta che Tizio si auto-certifichi anti-imperialista e gli si può perdonare tutto, dal fondamentalismo religioso di Castillo alla mattanza del suo popolo di Bashar al-Assad. Sono gruppetti che in genere mostrano anche tutto il loro disprezzo per i popoli di cui si proclamano paladini quando ti spiegano che “eh, ma se sei cresciuto in Perù” o “eh, ma se devi governare la Siria…“. Ma sono gruppetti molto ridotti, anche se estremamente rumorosi.

La comunità LGBQTIA, invece, mi sembra che faccia più fatica a riconoscere l’importanza dei diritti sociali, come dei diritti delle altre minoranze. E credo che uno dei grandi problemi sia un ambiente mediatico piuttosto asfissiante. La parola “intersezionalità” va molto di moda, certo, ma poi la home page del principale sito gay italiano ci propone decine di volti, tutti rigorosamente bianchi (a parte una miliardaria asiatica e un calciatore nero), mentre le stesse persone si presentano come esperte di creme idranti, consigli per lo smart working e diritti trans a Zanzibar. E come si potrebbe parlare seriamente di diritti sociali in mezzo a commossi ringraziamenti alla multinazionale che ci vuole vendere le scarpe rainbow a qualche centinaio di euro?

Arcobaleni senza diritti

I passi avanti comunque ci sono, e non solo da parte delle solite frange più “radicali”. Sempre più Pride hanno capito, per esempio, che è un problema trasformarsi in vetrine per aziende che sfruttano sfacciatamente chi lavora per loro. I media seguiranno prima o poi, o almeno così si spera. In queste ore, però, temo che ci ritroveremo a leggere entusiastici commenti su Deliveroo, che nel Regno Unito ha fornito ad alcunə rider splendidi zaini con bandiere arcobaleno e lo slogan “Pronouns Matter” (I pronomi contano). Vabbè, lə rider chiedono da mesi all’azienda il rispetto dei diritti fondamentali del lavoro, paghe decenti, giorni di malattia… e chiudiamola qui, che mica vogliamo rovinare pure questa festa.

Pier Cesare Notaro
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da Jeferson Gomes (Unsplash) / da Samantha Hurley (Burst Some Rights Reserved)

banner donazioni associazione volontariato

Leave a Reply