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Autista, guardia del corpo, pescatore, attore, pugile, fuggitivo, ladro, marchetta, cuoco, cameriere: il curriculum di Mohamed Mrabet è lungo, ma è anche quello di un bambino di Tangeri che, a 83 anni, ancora non sa leggere e scrivere. Sopravvissuto a una vita frenetica, Mrabet ha dato vita ad alcuni dei più grandi romanzi marocchini. Ritratto di uno scrittore illetterato, ultimo testimone di un tempo mitico in cui Tangeri era il centro del mondo.

“Tangeri la puttana”

Tangeri, 1957. In via Magellan, c’è il Tangier Inn House Snack Bar, il bar con la più ricca collezione di alcolici della città. Tangeri la puttana“, la chiamano: una città che ha dato rifugio a ladri, politici in fuga, debitori, omosessuali, dissidenti, giovani ragazzi che vendono il loro corpo per qualche dirham. Paul Bowles, Tennessee Williams, Gregory Corso e Truman Capote ci vengono a bere e cantare fino alle 3 del mattino.

Poco sopra, in una stanza dell’Hotel El Muniria, William Burroughs fa fuoco con il fucile, forse per non ascoltare i pensieri e per dimenticare che solo pochi mesi prima ha sparato a sua moglie in Messico. Jack Kerouac, sbarcato poche settimane prima su un piroscafo jugoslavo, batte a macchina il manoscritto del suo amico e trova un nome per il libro di Burroughs: “Il pasto nudo”. Allen Ginsberg ha appena messo piede nel continente africano e accende le sue prime pipe di kif. Questi pochi metri quadrati di Tangeri sono quindi il centro del mondo.

Tangeri, la guardiana dello Stretto di Gibilterra, è stata l’oggetto del desiderio delle grandi nazioni fino all’indipendenza del Marocco, avvenuta nel 1956. La città era da trent’anni una zona internazionale amata da banche, spie e contrabbandieri. Il resto del paese la chiama “Tanja la puttana“. Tangeri quindi è una vecchia signora, che si presta a vivere il suo ballo più bello: la Beat Generation. Dentro al bar Tangier Inn c’è Mohamed Mrabet, un giovane cameriere analfabeta, che osserva con curiosità: ubriaconi, uomini che seducono altri uomini, donne che amano altre donne. E, nella sua testa, scrive.

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Lo scrittore analfabeta

Cinquantacinque anni dopo, tutti sono morti. Truman Capote, overdose. Jack Kerouac, emorragia. Allen Ginsberg, cancro al fegato. William Burroughs, infarto. Tennessee Williams, strangolato nella sua camera d’albergo. Gregory Corso, cancro alla prostata. Tutti, tranne Mohamed Mrabet. “Non esisto più. Nessuno mi conosce qui“. Rimosso dalla mappa, Mohamed Mrabet è comunque un monumento. Il primo marocchino pubblicato in Francia, ha pubblicato più di venti libri tradotti in quattordici lingue, girato il mondo, dipinto migliaia di dipinti e reinventato il panorama della letteratura marocchina. Tutto senza saper leggere e scrivere.

È difficile dire che Mrabet è uno scrittore, perché ha una concezione insolita dell’arte – spiega Simon-Pierre Hamelin, direttore della Librairie des Colonnes – A volte dice che è il più grande scrittore marocchino e altre volte invece sostiene di non essere né uno scrittore né un pittore“. Mrabet ha forse ragione ? Non ha mai messo per iscritto una sola parola! Mrabet lavora con le immagini, racconta storie, è fedele alla tradizione dei cantastorie delle piazze marocchine. “Negli anni ’50 non c’era la televisione, né i nastri… niente – dice Mrabet – Abbiamo ascoltato a lungo la radio, si ascoltava il presidente Nasser che faceva la guerra ai francesi e agli inglesi“.

mohamed mrabet tangeri 1964

L’incontro con Bowles

La sua vita cambiò una sera del 1962, quando fu assunto come cameriere da Bob Temple, un ricco americano che organizzò una festa nella sua fastosa villa, nella vecchia medina. Dopo aver servito i tajines e whisky, Mohamed viveva e osservava quelle festa. Incontrò quindi Jane, moglie dello scrittore Paul Bowles, che si stabilì a Tangeri dagli anni Trenta. “Era sola, per terra, in giardino, con una sigaretta in una mano e un bicchiere nell’altra. Aveva un pizzico di nostalgia nella sua voce. Ho chiesto a questa donna perché fosse lì, sola. Mi disse che gli altri la annoiavano. Quindi le ho raccontato una storia. Mi disse che era bellissima“.

Jane Bowles, già gravemente alcolizzata e malata, parlò a suo marito di questo strano uomo che ha incontrato alla festa, gli chiese di incontrarlo e di ascoltare le sue storie. L’incontro fra Bowles e Mrabet sarebbe avvenuto pochi giorni dopo, con loro c’era anche William Burroughs. “Ho detto a Paul che avevo molte storie dentro di me. Mi ha dato una grande macchina e un microfono. Sono andato nella stanza e ho parlato per quattro ore“. Paul Bowles ascoltò le cassette e pensò che in Mrabet ci fosse nascosto un talento immenso. Mrabet dettava, batteva il ritmo e traduceva e adattava.

Così, Mrabet si trasferì praticamente da Bowles, con il quale sviluppò un rapporto intimo che durò fino alla morte dell’americano, avvenuta nel 1999. “Mrabet era lì tutto il tempo – afferma Robert Briatte, biografo di Bowles – Bowles lo considerava un artista autentico e un grande scrittore“. Di fronte al suo registratore, Mrabet continuava a creare e dettare interi romanzi. Le storie inventate nei caffè di Tangeri viaggiarono in giro per il mondo.

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Una vita violenta

Il cancro non ha mai esaurito questa enorme fonte, che non si è mai prosciugata. Va detto che la vita di Mohamed Mrabet è una storia enorme in sé. È nato a Tangeri nel 1936, in una zona del Marocco particolarissima: il Rif. È una zona montuosa che detiene il monopolio della produzione di cannabis. È in questa regione, perennemente infuocata e insubordinata, che il re Hassan II venne preso a pomodori in faccia: era il 1958 e il re punì duramente questa regione, escludendola dallo sviluppo economico e sociale del paese. Anche gli spagnoli invasori avevano avuto vita difficile nel Rif, massacrati nel 1921 dalle truppe di Abd el-Krim. Mohamed Mrabet ha ereditato lo spirito rivoltoso di queste terre e un totale disgusto per qualsiasi forma di autorità.

Per quanto strano possa essere, la vita di quest’uomo inizia in un giorno di scuola, quando suo padre decise di portarlo fuori dalla moschea e di farlo sedere tra i banchi dell’istituto francese. “Quando è arrivata la lezione di francese, non ho capito niente. Ho chiuso il mio taccuino e ho dormito. L’insegnante mi ha colpito duramente con un bastone. Plaaaa. Ero arrabbiato. L’ho colpito: bam! Ho preso una sedia e… bam. C’era molto sangue. Saltai via dalla finestra del terzo piano. Tornato a casa, anche mio padre mi colpì. Aprii la porta, dissi ‘arrivederci’ e uscii. Avevo 11 anni e non tornai più”.

Mrabet visse una vita violenta in un Marocco violento, fatta di stupri, combattimenti per poche pesetas, furti, prostituzione, accoltellamenti, notti intere passate per la strada. Questa vita raminga nutre il lavoro di Mrabet, che oscilla tra il realismo della vita nelle strade di Tangeri e l’immaginazione marocchina di jinn (spiriti malvagi, demoni) e racconti omerici. “Nei miei libri c’è sempre un po’ di verità. Il resto è fantasia“.

mohamed mrabet tangeri oggi

Perché resta sconosciuto?

La tragedia di Mrabet è che non è mai stato considerato uno scrittore a sé stante. Gli americani hanno attribuito il merito dei suoi libri a Paul Bowles, il Marocco preferisce Mohamed Choukri o Tahar Ben Jelloun. Mrabet non si adatta a nessuna scatola. Uno scrittore che non sa scrivere, un narratore in un’epoca in cui le storie non esistono più, le sue storie sono un genere letterario a sé stante, a metà strada tra il racconto americano e il tradizionale racconto mediterraneo.

Henry Miller lo considerava come “qualcuno che sa cosa significa lavorare in modo semplice ed espressivo. La sua scrittura è unica. Ha scoperto il segreto della comunicazione a tutti i livelli“. Inoltre, è colui che ha fatto viaggiare Bowles in tutto il paese attraverso le sue storie ed è forse la migliore incarnazione dell’anima marocchina. Ma poi, se Mrabet è così bravo, perché il suo nome rimane quasi segreto? La risposta sta forse nel suo pensiero politico. Nel 2009 venne invitato a tenere una conferenza a Granada e alla domanda di un giornalista, che gli chiedeva a se si fosse fatto un’idea della vita politica spagnola, Mrabet rispose: “La Spagna è una merda, ai tempi di Franco era meglio“.

Mrabet sfugge. Non teme la parola e come un bambino non ha inibizioni. Non manca solo di riconoscimento, ma anche di denaro. E poiché i quadri vendono più dei libri, dipinge. Instancabilmente. “Una guida a cui do qualcosa e che accompagna gli europei, viene qui. Porta persone che comprano i miei quadri” confessa davanti a Bernard Liagre, il suo gallerista, che pensava di aver firmato un contratto esclusivo con lui. Ma Mrabet non appartiene a nessuno.

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“Grazie a Dio sono morti”

Ormai ottantenne, la sua miseria oggi attira l’avidità dei “collezionisti” che speculano sulla sua morte e acquistano dipinti per morsi di pane. I suoi più grandi successi letterari sono praticamente irrintracciabili in francese. “Gallimard e Christian Bourgeois detengono i diritti e non vogliono ripubblicare i libri – spiega a sua volta Simon-Pierre – Ma stranamente non vogliono nemmeno vendere i diritti. Antoine Gallimard venne qui a Tangeri. Non sapeva nemmeno chi fosse“.

Mrabet è un narratore che non ha peli sulla lingua: per lui quell’amata generazione beat fu “una grande mafia. Soprattutto Burroughs, il capobranco: un grande gangster. Per prima cosa, ha ucciso sua moglie. In secondo luogo, ha ucciso suo figlio. Una vita di sangue, whisky, droghe, hashish. Una vita sporca. Anche Truman Capote era circondato da omicidi“. Di tutta quella generazione di beat, venuti a Tangeri, pochi riescono a trovare grazia nel cuore di Mrabet: “Ho sempre avuto paura di queste persone. Grazie a Dio sono tutti morti“. Ormai è anche la fine di quella Tangeri internazionale, divenuta nel 1960 nuovamente territorio marocchino. Oggi la città vive del suo mito, di quei poveri diavoli che l’hanno abitata.

Paul Bowles, il grande scrittore de “Il tè nel deserto”, è stato per Mrabet quello che Fernanda Pivano è stata per la Beat Generation in Italia. Amico, confessore, agente, forse amante, il più grande sostenitore, che è riuscito non solo a far pubblicare Mrabet, ma anche a farlo conoscere al pubblico. Ecco a voi Mrabet, eterno bambino, lingua difficile, un ladro che ha rubato e poi regalato le più belle pagine della prosa marocchina.

Pierre Boisson per Snatchmag-Atavist
traduzione di Anas Chariai
foto: ©Snatchmag-Atavist

Note del traduttore:
Per approfondire la figura di Mohamed Mrabet, vi consiglio questo video (che potete trovare anche sottotitolato in italiano su Arte):

Se interessati e affascinati da quella “Tanja la puttana”, oltre ai libri di Mrabet consiglio la lettura di:
* “Una casa a Tangeri. Lettere 1935-1969” di Jane Bowles (Archinto 1991, 168 p., 12,39 €)
* “Senza mai fermarsi. Un’autobiografia” di Paul Bowles (Feltrinelli 2007, 371 p., 30 €)
* “Un sogno ai confini del mondo” di Michelle Green (Serra 1992, 394 p., 12,10 €)

One Comment

  • VINCENZO SCIMONELLI ha detto:

    Di Mohamed Mrabet (e Paul Bowles) esiste, in italiano, un solo libro: “M’hashish – cento cammelli nel cortile”, pubblicato da Arcana Editrice nel marzo 1975 e nel febbraio 1980 (seconda edizione). Il titolo originale è “A Hundred Camels in the Courtyard”. I diritti di questo testo appartenevano a Paul Bowles personalmente; non a Gallimard o a Christian Bourgeois. Forse per questo motivo è stato possibile pubblicarlo. Il libro è ormai un’edizione rarissima ed io ne posseggo una copia.

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