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Spesso mi sono chiesto come amavano i miei nonni, loro che sono dei primi anni del ‘900, che si tiravano su con poco, senza tante parole. Una manciata di grano fra le mani, un senso totale di gratitudine verso la terra, una libertà assoluta, immersi fra le verdi colline del Marocco centrale, alle pendici della grande catena montuosa dell’Atlante. Loro che avevano tutta l’aria di sapere cosa fosse l’amore e a cosa assomigliasse e, soprattutto, dove trovalo. Lì. Tra una banda che suona a un matrimonio, vicino a un salice dove l’innamorato decide di non affliggersi più, o ancora più avanti, quando a tarda sera, da un campo in fiore, ritorna il pastore cantando, quando tutti ormai se n’erano già andati via. Loro che citavano a memoria poesie d’amore e d’armi della tradizione popolare marocchina.

Quante poesie e racconti ascoltati, altri subito dimenticati, quando con estrema eleganza, nel suo caftano verde smeraldo, accompagnavo mia nonna al forno pubblico a far cuocere il pane! La teglia stava su, in alto, sulla testa, retta da un capo avvolto da un velo bianco da cui, con totale stupore, usciva a poco a poco una chioma rosso fuoco. Un passo consapevole, una postura retta, una vita accesa. Nel suo gesto, nella sua ritualità, si compiva la salvezza della mia intera felicità e del mio orgoglio: guardate tutti, lei è mia nonna! Lei è mia nonna!

A poco a poco, quando i miei occhi colmi di meraviglia e di orgoglio si sentivano sazi, con un balzo la raggiungevo e per la mano la prendevo. Mia nonna continuava a citare le sue poesie d’amore, altre un poco sconce, altre sul sacrificio, altre che narravano del debito che ha il fiore con l’ape e l’uomo con la terra. E poi i racconti coranici. I fiori del Corano. La mia educazione sentimentale è passata da qui, dai quei riti mattinieri, e da una squillante voce – la mia – che ripeteva i canti di mia nonna.

Canti d’amore

Mia nonna è analfabeta, non saprebbe mettere per iscritto tutto ciò che canta. Non una sola parola. Ma le parole non le sono mai mancate: le sue mani, le sue braccia, la sua alta fronte, le sue guance… di tatuaggi berberi sono rivestite. Un segno, che è una parola, su una nocca e poi un altro ancora sulla fronte. E così via… Un canto già composto mia nonna, senza fine.

Nonna Fatna. Alzavo lo sguardo, colmo di gioia, per guardarla in viso e l’enorme teglia di legno proteggeva il mio volto e il mio sguardo dai potenti raggi solari. La guardavo. Sorridevo. La mia felicità era salva. Poesia, poesia che mi guardi.

Non un verso, non un canto a memoria ricordo di quel nostro viaggiare, di quelle passeggiate aristoteliche.

La mia speranza è sempre quella, che un antropologo le metta tutte per iscritto queste poesie, questi racconti, perché è di questo che è fatta la letteratura marocchina: di totali analfabeti dediti all’amore, che con occhi pieni di pianto si cercano, non fra un manuale di storia o uno di critica letteraria, ma tra un campo di miglio e uno di grano. Sono lì i miei eroi, a osservare il calabrone che visita la sua rosa.

Esempi di questo filone sono Mohamed Mrabet, Mohammed Choukri, e poi lei, la poetessa guerriera: Kharboucha. Ciò che rimane di Kharboucha, è ben poco.

mano henne donna araba

La prima chikha

Non essendo soggetta a nessuna censura ed essendo trasmessa solo oralmente, la poesia e la musica delle chikhat sono uno dei pochi elementi che documentano l’amore e la sessualità nella vita quotidiana dei marocchini. Esistono numerosi testi, dai più libertini ai più “cavallereschi”. Sfortunatamente la tradizione è andata perduta, portando con sé un ricco patrimonio insieme a un’immagine più o meno accurata della vita amorosa del Marocco e della tolleranza di cui godevano gli innamorati. Ma chi sono le chikhat? Sono le danzatrici, le poetesse dell’oralità, sono le cantanti, sono donne libere ed emancipate. Con la parola “chikhat” si indicano anche le prostitute.

Uno dei primi importanti personaggi dalla tradizione orale è sicuramente Kharboucha. Una donna che ha osato, che ha cantato l’amore, che ha denunciato la corruzione della politica, una donna d’armi e di musica. Ma per i marocchini rimarrà famosa soprattutto per il suo coraggio e la sua intelligenza politica.

Mi sarebbe piaciuto
trovare qualcuno
che scrivesse una lettera alla mia amata
mantenendo il mio segreto.
E poi mi sarebbe piaciuto essere una lettera.
Piegata, lì
nella valigia della mia amata

Il vero nome di Kharboucha è Hadda Al Ghitia, gli storici non conoscono esattamente la sua data di nascita, che però si aggira intono alla fine della seconda metà del 1800. Una vita breve ma intensa. Condottiera, acerrima nemica dei francesi coloni e dei piccoli governi locali marocchini, Kharboucha fu una influente donna della regione di Doukkala-Abda. Ha usato la sua voce e le sue poesie per combattere i suoi nemici. Ha imparato a memoria questi testi per mobilitare la popolazione del suo paese natale, la tribù Oulad Zayid. Kharboucha, che non sapeva leggere e scrivere, ha ben saputo plasmare i primi capitoli della storia del genere musicale aita, diventando sia una figura iconica di questo stile musicale sia una delle prime attiviste politiche di un Marocco rurale.

Nello stesso periodo, Aissa Ben Omar, che era il caid (capo) di una tribù vicina, ordinò il saccheggio di Oulad Zayid, sfruttando il periodo di disordine politico dovuto alla morte del sultano Moulay Hassan I (1873-1894). Fu in questo contesto che Kharboucha decise di opporsi ad Aissa Ben Omar e incoraggiò il suo popolo a reagire.

carovana deserto marocco coloniale

La nascita dell’aita

Lo scrittore Moha Ennaji, che ha scritto tanto su Kharboucha, ha ricordato che le canzoni politiche di questa diva marocchina sono state le colonne portanti del genere musicale aita. Secondo lui, la giovane donna “ha inventato una forma di canto, conosciuta oggi come “aita”; era un invito all’azione, cantato esclusivamente da donne o da uomini vestiti da donne. […] Questi testi descrivono la vita delle donne nelle loro famiglie, la violenza, la resistenza anti-coloniale, un forte senso di indipendenza e un urgente desiderio di diritti politici“.

Purtroppo le chikhat oggi sono considerate personaggi ambigui e controversi. Queste donne artiste soffrono l’emarginazione in una società in cui la maggior parte delle persone non fa alcuna distinzione fra ciò che è l’arte della prostituzione e quella che è l’arte dell’intrattenimento, della danza, del canto, della poetica orale. Una chikha è sia artista che puttana. E pensare che una buona fetta della letteratura marocchina ha come autrici proprio chikhat e fiere puttane! E notare, che uso la parola puttane con la più alta e totale fierezza e rispetto, così come la intendeva la più grande cortigiana francese del ventesimo secolo, Griselidis Real. Un’altra chikhat, in qualche modo.

L’arte della  prostituzione

Citando Griselidis Real, “la prostituzione è Arte, Umanesimo e Scienza. L’ho detto e lo ripeto, e lo dirò e lo scriverò ancora, fino al mio ultimo respiro, in francese, inglese, tedesco e se serve anche in italiano e spagnolo. Oggi, con il senno di poi, penso a questi trent’anni di mestiere (quello di Prostituta, o più elegantemente di Cortigiana o Peripatetica) con nostalgia e gratitudine infinita.

L’unica prostituzione autentica è quella delle grandi artiste e perfezioniste, che praticano volontariamente questa singolare forma di artigianato con intelligenza, rispetto, immaginazione, cuore, esperienza, per una sorta di innata vocazione: vere professioniste, consapevoli del proprio potere e dei suoi limiti, che sanno mettersi nel panno dell’altro, scoprirne le aspettative, le angosce, i desideri, e che sanno come rivelarsi senza ripercussioni.

Siamo e restiamo libere. Libere dei nostri corpi, libere dei nostri spiriti, libere dei nostri soldi guadagnati con il sudore dei nostri culi e dei nostri cervelli. Libere come uccelli migratori vestiti di colori sfavillanti, che sorvolano a grande altezza il triste fango in cui ci vorrebbero sotterrare” [Carnet di ballo di una cortigiana, Castelvecchi, 2007, 112 p., 10€].

La morte di Kharboucha

Kharboucha venne catturata dal caid, i francesi furono molto soddisfatti dell’accaduto. Il caid la fece imprigionare in un’abitazione, che poi incendiò. Kharboucha entrò in quell’abitazione cantando, consapevole dell’imminente morte. Kharboucha ha ispirato generazioni di cantanti, di prostitute, di danzatrici, di donne libere, disobbedienti e innamorate. La nostra signora dei fiori. La santa poetessa delle puttane, dei contadini, degli oppressi, degli innamorati, delle donne, degli artisti, degli ultimi.

La mia santa.

Anas Chariai
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da foto di Kharboucha (CC0) / da needpix (CC0) / da quadro di Eugène-Alexis Girardet

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