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Negli ultimi giorni dell’anno da poco concluso, in India si è celebrato il primo matrimonio gay nella città di Yavatmal, capoluogo dell’omonimo distretto nello stato federato del Maharashtra. I due sposini sono un ingegnere indiano che vive negli Stati Uniti (dove la coppia era già convolata a nozze a ottobre) e un vietnamita, e si sono uniti pochi giorni prima della decisione della Corte Suprema di rivedere la sezione 377 del codice penale che criminalizza i rapporti omosessuali [Il Grande Colibrì]. I gestori dell’hotel in cui si sono svolte le nozze hanno fatto finta di non conoscere lo scopo dell’incontro, come pure la polizia, che, dopo che le foto dell’evento sono state viste e riviste su Facebook da molti indiani, ha dichiarato ambiguamente che aprirà un’indagine sul caso [Times of India].

Arresti, violenze e stupri

L’ambiguità della polizia, però, si rivela soprattutto per le continua violenze contro le persone transgender. Un gruppo di studiosi ha analizzato questa brutta realtà svolgendo ricerche in quattro stati del paese. I risultati, pubblicati di recente sulla rivista indiana Violence and Gender [Mary Ann Liebert], sono purtroppo allarmanti: circa il 43% di coloro che stati intervistati ha riferito violenze sia fisiche che verbali, mentre il 30% vittima di abusi sessuali ha ha riferito che gli agenti non hanno neppure voluto usare il preservativo.

L’HIV è una piaga durissima tra le persone trans in India: il 7,5% ne è affetto (una percentuale 19 volte superiore al resto della popolazione). La loro impotenza di fronte alla polizia non gli permette di rifiutare i rapporti non protetti, per i quali gli agenti a volte offrono molti soldi, a volte abusano e si servono della propria posizione lavorativa per costringere le vittime [Times of India].

Attualmente, anche se la discussione sulla possibile cancellazione della sezione 377 dovesse avere esito positivo, manca evidentemente la sensibilizzazione delle forze di polizia, che invece le persone transgender (ma anche omosessuali, bisessuali, queer e intersessuali) dovrebbero poter percepire come garanti dei loro diritti. E invece anche il coraggio di denunciare le discriminazioni viene meno, tanta è la vergogna e la derisione che dovrebbero affrontare tra i tavoli delle caserme.

Allarme anche in Kerala

È sufficiente leggere qualche notizia dal Kerala, che, nonostante sia lo stato indiano maggiormente solidale con la comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) e promuova politiche volte all’inclusione e al rispetto [Il Grande Colibrì], registra ancora troppa violenza e discriminazione da parte della polizia. A cosa servono le politiche giuste se non si prova a sensibilizzare le coscienze di chi le dovrebbe garantire?

Dall’estate scorsa si sono registrate almeno dieci vittime di transfobia (donne transessuali rinchiuse in stanze e mezzo baciare di morte per puro odio, donne e uomini transgender accusati di prostituzione e arrestati, e anche l’omicidio una donna transessuale per strangolamento) con complici o addirittura colpevoli uomini in divisa [The New Indian Express]. È molto frequente, inoltre, che vengano costruite false accuse per procedere con gli arresti. La situazione delle persone transgender oggi in India è sostanzialmente racchiusa e ben definita nelle parole di Jomol, transessuale discriminata dalla polizia: “Viviamo come rifugiati nel nostro stato d’origine” [Scroll].

Ginevra Campaini
©2018 Il Grande Colibrì

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