Skip to main content
Leggi la seconda parte dell'articolo

L’omosessualità negli aḥādīṯ

Un’analisi molto simile a quella compiuta sul Corano è stata effettuata anche su tutti quegli aḥādīṯ che chiamano in causa l’omosessualità. Prima di approfondire la discussione è necessario specificare che cosa sia un ḥadīṯ. È, sostanzialmente, una frase, una formula pronunciata dal Profeta per eccellenza: Muhammad (o Maometto). La raccolta dei detti del Profeta contribuisce a delineare la così detta Sunna, ovvero il buon esempio di vita di Muhammad, uomo pio per eccellenza, che ogni musulmano dovrebbe seguire. Perciò gli aḥādīṯ sono materia di legge, vengono studiati e considerati attendibili prima di produrre sentenza.

Un ḥadīṯ è costituito da due elementi: l’isnād o catena di trasmissione, che indica tutti gli individui che hanno sentito pronunciare quel detto, fino ad arrivare al Profeta e il matn, cioè il contenuto del detto. E sono proprio questi due elementi, soprattutto la catena dei trasmettitori, a essere studiati per verificarne l’attendibilità.
A questo proposito, due studi decisamente importanti sono stati compiuti da Scott Siraj al-Haqq Kugle e dalla studiosa Serena Tolino. Entrambe queste analisi prendono in considerazione numerosi aḥādīṯ del Profeta riguardanti l’omosessualità e ne vanno a studiare la catena di trasmissione e i termini utilizzati. È emerso, in molti casi, che diversi detti che esprimono condanna all’omosessualità hanno una catena di trasmissione che li invalida e li rende inattendibili, in molti altri le traduzioni erronee di alcuni termini hanno portato a forti fraintendimenti, accostando la figura del Profeta Muhammad a istanze fortemente omofobe.

A fare luce sugli studi legati ai detti del Profeta è stato Ludovic-Mohamed Zahed. L’attivista e imam franco-algerino, nel suo testo Homosexualité & Transidentité en Islam: étude systematique des Textes, prende in esame una serie di aḥādīṯ. Elaborando una discussione che ha l’intento di discostare la figura del Profeta dalle istanze omofobe attribuitegli dalla tradizione, dimostrando che Muhammad non discriminava le minoranze e non avrebbe acconsentito alla condanna a morte degli omosessuali. Secondo la teorizzazione compiuta dall’imam Zahed, una volta che un detto, sebbene apocrifo, viene attribuito al Profeta è molto complesso estrometterlo dalla tradizione, perciò molti di questi ḥadīṯ sono rimasti per secoli e secoli nelle raccolte. Zahed riprende l’ipotesi dell’orientalista Joseph Scacht, secondo cui i detti del Profeta come corpus letterario uniforme hanno assunto forma scritta in un periodo tardo, ragion per cui riflettono maggiormente il punto di vista dei giurisperiti che li hanno utilizzati per creare legge, piuttosto che l’etica profetica.

La sessualità nel Corano e lo stigma dell'omosessualità

Sempre utilizzando come base dell’argomentazione gli studi di Zahed, osserviamo che molti dei detti profetici che condanno l’omosessualità coinvolgono una figura molto interessante: il muḫannaṯ, l’uomo effeminato. Il detto 4324 di Al-Buḫārī, uno dei più celebri trasmettitori di aḥādīṯ, è legato a questa figura. L’uomo in questione si chiama Hīt, è al servizio di Umm Salam, una delle mogli del Profeta. Secondo quanto trasmesso dal detto l’uomo si trova presso la casa del Profeta e sta parlando con un altro uomo di una donna, descrivendola in maniera piuttosto dettagliata. Il Profeta, una volta giunto in casa sua, disturbato dalla discussione dei due uomini, decide di allontanare l’effeminato. Il gesto dell’allontanamento di Hīt dalla casa del Profeta viene utilizzato come mezzo per costruire lo stigma nei confronti degli effeminati. Ma, in realtà, secondo Zahed l’esclusione di Hīt non ha nulla a che vedere con la sua presunta omosessualità. In primo luogo, perché in molti casi il detto viene riportato in assenza del contesto, di conseguenza un’azione del Profeta, compiuta nei confronti di uno specifico uomo, diventa motivo di discriminazione di un’intera categoria, come dimostrano altri aḥādīṯ in cui viene riportata la condanna di Muhammad nei confronti di tutti gli uomini effeminati. In secondo luogo, è molto più probabile che l’uomo sia stato allontanato perché il Profeta è infastidito dal modo quasi scurrile con cui la donna viene descritta, anche a fronte del disinteresse sessuale che Hīt sembra aver sempre mostrato nei confronti delle altre donne. Due motivazioni che nulla hanno a che vedere con la sessualità dell’uomo in questione. Inoltre, ultimo ma non meno importante elemento, dalle analisi di Zahed risulta che gli uomini effeminati avevano un importantissimo ruolo all’interno della casa del Profeta, insieme a bambini e donne, che non erano obbligate ad indossare il velo in loro presenza. Particolare che dimostra la profonda comprensione della sessualità presente già nella primissima comunità islamica.

Un altro esempio è costituito dall’ḥadīṯ 4828 di Abu Dawd. Si racconta che un uomo effeminato viene portato al cospetto del Profeta per essersi dipinto con l’henné le mani e i piedi, pratica destinata alle donne. Una volta giunto da Muhammad alcuni suoi seguaci chiedono di poterlo uccidere e a quel punto il Profeta afferma: «Vi ho proibito di uccidere un uomo che prega». Questo elemento dimostra, ancora una volta, che l’etica profetica si discosta quasi totalmente dalle istanze omofobe e autoritarie affibbiategli dalla tradizione. Sottolineando che, nella comunità islamica, c’è un legame che supera ogni inclinazione dell’uomo: la preghiera e quindi la spiritualità.

Gli studi di Zahed possono permetterci di affermare che il Profeta ha riconosciuto l’uguaglianza degli uomini, indipendentemente dal loro e genere e dalla loro sessualità. Quindi gli ahādīṯ che condannano esplicitamente l’omosessualità e le minoranze sessuali sono, in un certo senso, considerabili come apocrifi, perché in contrasto con l’etica islamica incarnata dalla figura del Profeta Muhammad.

 

Elettra Maria Nicoletti (fb|ig)
©2022 Il Grande Colibrì

Leave a Reply