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I processi di disumanizzazione dell'”Altro” non avvengono mai in modo immediato e prima di diventare espliciti (prima di parlare di “pulizia di massa” o di definire altri esseri umani come “bestie straniere“, per esempio) ci si nasconde dietro diverse strategie, come il ponziopilatismo estremo (“Impediamo in ogni modo il salvataggio dei naufraghi, ma non siamo responsabili della loro morte”) e un sovvertimento etico totale (i diritti fondamentali sono passati in secondo piano prima rispetto al “decoro” e ora rispetto a un presunto “buonsenso”). Sono meccanismi evidenti in Italia da anni, dai decreti Minniti al governo di Matteo Salvini & Co(mparse), ma li ritroviamo in molti altri paesi. La storia di Doreen (nome di fantasia) lo dimostra.

Fuga per la libertà

Doreen nasce in Uganda e resta orfana di entrambi i genitori sin da piccola. Le rimangono solo due parenti: la nonna e uno zio. Quest’ultimo la violenta ancora bambina e lei ovviamente non vuole più averci a che fare. Le rimane solo la nonna. Doreen è adolescente quando inizia a frequentare un’altra ragazza. L’amore cura ogni male, dicono. E invece i vicini scoprono questa relazione. In una notte di follia la vengono a cercare a casa, non la trovano, uccidono sua nonna. A Doreen non rimane più nessuno, solo il terrore e un’amica che l’aiuta a ottenere un visto per il Regno Unito. Ha 17 anni quando arriva a Londra nel 2011.

Qui la ragazza scopre una realtà nuova e sorprendente: capisce che una lesbica può vivere liberamente, senza paura di essere uccisa. Doreen trova subito lavoro come parrucchiera. Tutto sembra andare finalmente nel verso giusto. “Ero felicespiegaAvevo lasciato tutto alle mie spalle in Uganda e nessuno sarebbe venuto a farmi del male o a ucciderci. Iniziavo a pensare che le cose ormai mi sarebbe andate bene. Avevo degli amici ed ero una brava parrucchiera: questo mi aiutava a fare nuove amicizie e mi permetteva di guadagnarmi da vivere“.

Espulsione illegale

Poi arriva il brutto giorno in cui la polizia la ferma. Il suo visto è scaduto da tempo. L’arrestano. È in quell’occasione che Doreen scopre che avrebbe potuto fare domanda di asilo: semplicemente non lo sapeva, non glielo aveva detto nessuno. Allora fa la domanda, ma, con un ragionamento kafkiano, il fatto che non l’abbia fatta prima viene considerata una prova del fatto che starebbe mentendo. E così nel 2013 la rispediscono in Uganda. “Non so perché l’hanno fatto – dice Doreen – Non sono una criminale“. Ma il governo vuole far vedere che si impegna nelle espulsioni dei “clandestini” e per questo avviene tutto in fretta.

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Troppo in fretta. Poche settimane fa i giudici stabiliscono che il processo di valutazione della domanda di Doreen è stato troppo superficiale e veloce, non c’è stata né la voglia né il tempo di valutare attentamente la sua storia. L’espulsione è stata illegale. La corte intima al governo di far tornare la ragazza nel Regno Unito. È una vittoria importante del Movement for Justice (Movimento per la giustizia), l’organizzazione che ha sostenuto Doreen prima e dopo la sua espulsione.

L’attivista Karen Doyle commenta: “Doreen è venuta nel Regno Unito per cercare libertà e sicurezza in quanto lesbica, ma, invece di ottenere sostegno e comprensione, è finita nella trappola di un sistema accelerato che è stato predisposto proprio per impedire che le persone vengano credute e abbiano un giusto processo“. Si è fatta la stessa cosa in Italia nel 2016, con le riforme presentate da Andrea Orlando, allora ministro della giustizia e oggi vicesegretario del Partito Democratico (PD).

Sei anni in Uganda

Ma ora la sentenza cancella l’ingiusto trattamento subito da Doreen, vero? Non proprio. Come ricorda Doyle, “la ragazza è stata deportata e per sei anni ha affrontato l’incubo di vivere, senza alcun sostegno familiare, da giovane lesbica in Uganda, paese in cui ci si aspetta che le donne si sposino da giovani e in cui per sopravvivere ha dovuto nascondersi e vivere una paura costante“. Doreen è scappata da un angolo all’altro del paese, anche grazie al sostegno di Sexual Minorities Uganda (Minoranze sessuali dell’Uganda; SMUG). Per pagarsi da mangiare ha dovuto usare donazioni arrivate dal Regno Unito.

E l’incubo ha continuato a peggiore con il tempo. Fino agli abissi di una notte dell’anno scorso. “Stavo dormendo quando sono arrivati degli uomini. Hanno dato colpi sulla porta e mi hanno rubato tutto. Mi hanno violentata. Ero da sola nella stanza. Non ho potuto fare denuncia alla polizia perché non voglio che sappiano chi sono…“. È rimasta incinta da questo stupro di gruppo. E quando è andata dal medico per abortire era troppo tardi. Ora fugge e si nasconde insieme al suo neonato.

Il costo di un biglietto

Quando finirà questo inferno, quando riuscirà a tornare nel Regno Unito? Ancora non si sa. Perché il ministero dell’interno britannico ha deciso di fare ricorso. La sua domanda di asilo dovrà essere riesaminata, ma in teoria potrebbe essere di nuovo respinta e Doreen potrebbe essere rispedita ancora in Uganda. E, a quanto sembra, solo dei “buonisti” potrebbero giustificare il possibile “spreco” di un biglietto aereo con il fatto che una persona, a causa di un’espulsione illegale, è costretta a vivere da fuggiasca, rischia di essere uccisa e ha subito una violenza di gruppo. Mica è cattiveria: è il semplice “buonsenso” che piace tanto alla destra europea.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Max Pixel (CC0) / Il Grande Colibrì

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