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Dopo 6 anni di assenza tornano i premi più conosciuti della cinematografia a luci rosse per soli uomini: i GayVN Awards. Ma gli “oscar” del porno gay stanno facendo parlare di sé non per il loro ritorno, ma per le polemiche scatenate da uno dei candidati favoriti. La pornostar Hugh Hunter, infatti, ha annunciato su Twitter che non parteciperà alla competizione per protesta contro il fatto che tutti e 15 i candidati a miglior attore sono bianchi: neri, ispanici e asiatici sono tutti relegati nella categoria “Best Ethnic Scene” (migliore scena etnica). L’esistenza stessa di questa categoria è giudicata di per sé come una manifestazione di razzismo: la diversità dei colori della pelle è presentata come una mera forma di feticismo o a un gusto estetico qualsiasi, alla pari di quello per bear (uomini robusti e pelosi) e twink (ragazzi magri e glabri).

Alle proteste di Hunter si sono aggiunte quelle di altri performer, come Sean Zevran – attore porno significativamente indicato come di etnia “etnica” (sic!) su Allopedia -, secondo cui la categoria speciale “affida alle minoranze etniche nell’industria il ruolo dell”altro’, come se ci fosse qualcosa da distinguere tra il nostro lavoro e quello mainstream per cui sia necessario stabilire una categoria separata”. Pur deciso a boicottare i GayVN Awards, Zevran concede che forse gli organizzatori avevano buone intenzioni e forse volevano porre rimedio alla sottorappresentazione nei film a luci rosse dei “non bianchi” (ma allora perché non rappresentare di più questi attori in tutte le categorie, invece di relegarli in una categoria a parte?).

https://youtu.be/AGvSEVWxl7g

Una risposta realistica

Va comunque riconosciuto che AVN Media Network, la società che organizza i GayVN Awards, ha fatto subito marcia indietro, cancellando la categoria sotto accusa e fondendola con quella più generale di “Best Duo Scene” (migliore scena di sesso a due).

Gli organizzatori hanno assicurato che “l’aggiunta di questa categoria non è mai stata intesa per mettere limiti alla partecipazione dei performer di qualsiasi background etnico non europeo in qualsiasi altra categoria” (anche se poi l’effetto è stato proprio quello) e hanno spiegato che la “Best Ethnic Scene” voleva essere un riconoscimento per quei “produttori che lavorano in larga parte con performer con determinati background etnici. Questi produttori si rivolgono al proprio specifico gruppo di consumatori e sono una componente essenziale dell’industria gay per adulti”.

Se le giustificazioni di AVN Media Network possono sembrare quasi una toppa peggiore del buco, bisogna anche riconoscere due fatti: il primo è che la categoria “etnica” è presente in questo premio dalla sua prima edizione del 1998 e in tutti gli altri principali premi della pornografia tanto gay quanto eterosessuale, con lo scandalo di pochissimi. Ma soprattutto bisogna prendere atto che ciò che affermano gli organizzatori rispecchia perfettamente il mercato dei video per soli adulti: nella sessualità rappresentata nella pornografia gay essere bianchi rappresenta la norma (statistica, ma non solo), mentre le altre etnie sono eccezioni “fuori norma”, quando non addirittura elementi per dare un tocco di trasgressione in più (nei portali a luci rosse “interracial” è una forma di pratica sessuale alla pari del sesso anale o del pissing).

Una bianca normalità

Ricordiamo come sia tipico del pensiero razzista anche inconscio il considerare come generici e generali, insomma come “universali” e in fondo “puri”, gli elementi delle culture bianche, mentre i contributi non bianchi diventano espressione di specificità etnica, di diversità e di stranezza (di devianza, in fondo) rispetto a questa normalità: un giapponese in jeans ci appare talmente “normale” da non notarlo neppure, mentre una svizzera in kimono ci appare subito, nel bene o nel male, come “fuori norma”. Nel supermercato dove faccio la spesa la Coca Cola è etichettata genericamente come bibita, il cuscus è sugli scaffali delle “cucine del mondo” (con buona pace della traduzione culinaria siciliana).

Allo stesso modo nella pornografia il pene elefantiaco di un attore bianco è un “grosso cazzo” di cui non c’è bisogno di specificare il colore, mentre quello del collega nero sarà un “grosso cazzo nero”, o “di cioccolata” o “di ebano”. Un bell’attivo aggressivo è semplicemente un “dominant top” (attivo dominante) se è bianco, ma diventerà un “Latino thug” (teppista latino) se è ispanico.

Modelli monocromo

A proposito della sottorappresentazione dei non bianchi nel porno gay, il sito specializzato Str8UpGayPorn (vietato ai minori e per questo non linkato) ha descritto come “più bianco di una manifestazione a favore di Trump” il catalogo dei modelli dello statunitense Sean Cody, il secondo sito di pornografia gay al mondo. Eppure gli attori non bianchi (tutti sottoutilizzati rispetto ai colleghi bianchi, con l’eccezione di Landon) sono circa il 2%, una cifra che fa impallidire l’unico produttore più grande sul pianeta, Men.com, che presenta una pagina di modelli in cui appaiono unicamente ragazzi bianchi (a cercare su Google si scopre che però recentemente è stata girata qualche scena con performer neri, ma sul sito sembra ben nascosta).

E cosa succede a scendere nella classifica dei siti porno gay più visti del mondo? Randy Blue, che è terzo, non si nasconde dietro un dito e presenta il nero Charles King come l’eccezione all’interno di una “sfilza di ragazzi bianchi di origini europee”. Al quarto e quinto posto figurano rispettivamente Helix Studios e Bel Ami, dove gli attori sono tutti esclusivamente bianchi. Qualcuno se la sente ancora di dire che non c’è un problema di razzismo?

Responsabilità diffuse

Secondo il performer Leo Forte il problema c’è e riguarda tutti coloro che lavorano nell’industria del porno: i tanti attori bianchi che rifiutano di girare scene con colleghi di altre etnie [Il Grande Colibrì], gli agenti che puntano solo su ragazzi bianchi, ma anche i performer neri, asiatici e ispanici che, stanchi di ricevere porte in faccia, spesso rinunciano a chiedere un provino alle case di produzione mainstream e si affidano a quelle specializzate nel “sesso etnico”. Non sono da dimenticare neppure i produttori, che non solo generalmente pagano di meno i modelli “di colore”, ma offrono spesso un bonus economico ai colleghi bianchi che accettano di fare sesso con loro, come se gli dovessero una sorta di risarcimento morale.

E dovremmo essere ancora più pessimisti se aggiungiamo il fatto che l’industria del porno accetta senza grossi problemi case di produzione basate su stereotipi razzisti, da Black a Thug teppista, e registi che difendono orgogliosamente la xenofobia e l’islamofobia come Michael Lukas (che non a caso ora collabora con Breitbart News, il sito preferito dei suprematisti bianchi statunitensi). O forse possiamo concederci un po’ di ottimismo: in fondo l’attenzione conquistata dalle ultime polemiche mostra che un cambiamento di rotta è possibile. Per realizzarlo, però, serve che i consumatori di pornografia prendano coscienza e cambino i propri comportamenti, scegliendo chi saprà offrirgli godimenti di tutti i colori.

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

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