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Riad è un sobborgo gigantesco in cui le famiglie e gli individui vivono sparsi in case mono-familiari e in piccoli condomini, lontani gli uni dagli altri, ma sotto il controllo dello stato – scrive Pascal Ménoret in “Joyriding in Riyadh: Oil, Urbanism, and Road Revolt” (Girare su un’auto rubata a Riad: petrolio, urbanistica e rivolta stradale; Cambridge University Press 2014) – Anche le strade sono orrende e ostili ai pedoni: larghe e trafficate, prive di ombra, difficili da attraversare, con l’asfalto che quasi si scioglie sotto il sole cocente, sono abbandonate alle macchine, ai camion e ai taxi“. Le brutte strade della capitale dell’Arabia Saudita da anni di notte diventano il teatro dove i giovani repressi mettono in scena gare automobilistiche e gesti di goliardia.

Baci proibiti nella notte

Forse anche l’ultimo scandalo messo in scena sugli stradoni di questa città ricca e desolata era solo un atto di goliardia. O forse una semplice penitenza per una scommessa persa. O magari è stato davvero un folle tentativo di ribellione di una coppia omosessuale. Probabilmente non lo sapremo mai e forse non ha tutta questa importanza. Fatto sta che in Arabia Saudita tutti parlano del video del camioncino che corre per le immense strade di Riad, trasportando due ragazzi che si baciano appassionatamente in bocca e un amico che urla per incoraggiarli. Pochi secondi che rischiano di cambiare per sempre la vita dei loro protagonisti.

Le pagine Twitter di molti sauditi si sono riempite di commenti violenti e volgari, molti hanno chiesto che i due presunti gay fossero arrestati e addirittura giustiziati. E così i due ragazzi sono finiti davvero in prigione, anche se non si sa in quale carcere siano stati rinchiusi. Soprattutto non si sa di quali reati siano accusati concretamente e, dunque, quali pericoli corrono davvero: in Arabia Saudita l’omosessualità è punita con la pena di morte, anche se è applicata quasi solamente agli immigrati poveri.

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Il vero volto del regime

In ogni caso questo arresto è l’ennesima smentita, se mai ce ne fosse stato bisogno, alla vuota retorica progressista del principe Mohammad bin Salman, con le promesse di apertura di “Vision 2030”, i nuovi cinema luccicanti e la concessione, per la prima volta nella storia, di visti turistici per visitare il paese. Il vero volto del potere saudita resta quello di un integralismo totalitario, che provoca la peggiore crisi umanitaria del mondo in Yemen, massacra le minoranze religiose, uccide giornalisti scomodi come Jamal Khashoggi, perseguita le femministe e getta in prigione un ragazzino perché indossa un pantaloncino non abbastanza “virile”.

Tutto questo provoca qualche sporadica tirata d’orecchie da parte dei governi occidentali, ma nulla di più significativo. Neppure il ruolo dei sauditi nel creare e alimentare le ideologie jihadiste che hanno portato terrore e morte in tutto il mondo ha suscitato forti reazioni: il magico profumo dei petrodollari ricopre il puzzo nauseabondo della morte, della repressione, della corruzione. Il comune odio per l’Iran, poi, ha sigillato l’alleanza tra il regime saudita e Benjamin Netanyahu: “L’amore tra Riad e Tel Aviv si scalda ogni giorno di più, come se fossero due innamorati che avevano scoperto di amarsi da molto tempo, ma che non avevano potuto ancora incontrarsi, e quindi cercano di recuperare il tempo perduto“, come scriveva Basheer Al-Baker.

mohammad bin salman arabia saudita

Al servizio del dio denaro

D’altra parte, il potere della famiglia reale saudita non ha nessuna base solida su cui fondare la propria legittimità e si regge solo grazie a due stampelle: l’alleanza con l’Occidente, che le garantisce armi e sostegno politico in cambio di soldi e petrolio, e il wahhabismo, un’interpretazione estremamente oscurantista dell’islam che i regnanti usano per reprimere costantemente la popolazione.

Intanto La Mecca è stata trasformata in un monumento al consumismo. Sulla Kaaba, luogo santissimo per i musulmani, incombono le Abraj Al-Bait (Torri della casa), un complesso kitsch di sette grattacieli che ospitano alberghi di lusso e fast food americani: per costruirlo il regime ha distrutto un importante sito archeologico risalente ai primi anni dell’islam. Allo stesso modo i sauditi hanno abbattuto la casa di Khadija, prima moglie di Muhammad (Maometto), per costruire bagni pubblici: in quell’abitazione, secondo la tradizione, il Profeta avrebbe ricevuto alcune delle prime rivelazioni. Tutto questo dimostra quale sia il vero rispetto per la religione del regime saudita, che usa Dio solo per la repressione politica e lo sfruttamento commerciale dei pellegrinaggi.

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Retata anti-gay in Malesia

Con i suoi petrodollari l’Arabia Saudita non ha acquistato solo l’alleanza con l’Occidente, ma cerca costantemente di comprare le anime dei musulmani di tutto il mondo. Si offre di costruire moschee su tutto il pianeta, in cui poi manda predicatori che forma per diffondere il pensiero wahhabita. La sua campagna fondamentalista ha trasformato anche paesi geograficamente e culturalmente molto lontani dalla penisola arabica. Lo dimostra, per esempio, l’ondata omofoba che ha investito paesi tradizionalmente tolleranti come l’Indonesia e la Malesia.

Proprio in Malesia dieci uomini sono stati arrestati lo scorso novembre con l’accusa di “aver tentato di avere rapporti sessuali contro l’ordine della natura” (sic!). Metà degli accusati hanno ricevuto in questi giorni condanne a sei colpi di canna, carcere (dai sei ai sette mesi) e multe per un equivalente superiore ai mille euro ciascuno. Gli altri cinque imputati dovrebbero scoprire la propria sorte nei prossimi giorni. Il Parti Sosialis Malaysia (Partito socialista di Malesia) e molte organizzazioni non governative (ONG) malesi hanno protestato contro questo processo omofobo, ma purtroppo il potere dei soldi sauditi probabilmente avrà più peso delle proteste sempre più frequenti della società civile.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì / elaborazione da kremlin.ru (CC BY 4.0)

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