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Le campagne elettorali sono il momento delle promesse, tranne quando si parla del premier israeliano Benjamin Netanyahu e di diritti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali).

Contro ogni progresso

Quando ad aprile il leader di estrema destra, alleato con partiti fieramente razzisti e gruppi fondamentalisti ebraici, ha incontrato gli esponenti del movimento arcobaleno, ha pronunciato tante belle parole, ma alla fine ha detto esplicitamente che la sua maggioranza avrebbe continuato a fare quello che ha fatto finora: impedire qualsiasi progresso verso l’uguaglianza, bocciando qualsiasi proposta a favore delle minoranze sessuali. E lo ha fatto in un contesto in cui le violenze omofobe sono aumentate addirittura del 54%.

Intanto Israele, mentre prosegue imperterrito a smontare la democrazia e la laicità di cui a parole va così fiero, continua a presentarsi come un paradiso gay. I suoi detrattori lo dipingono invece come un inferno nascosto dietro la vernice del pinkwashing, la tecnica retorica con cui governi come quello di Netanyahu si dicono favorevoli ai diritti LGBTQIA solo per costruirsi un’immagine progressista e mascherare pesanti violazioni dei diritti umani, come quelle che colpiscono il popolo palestinese. Ma allora l’immagine LGBTQIA-friendly di Israele è veritiera o è solo ipocrisia? La risposta ovviamente non è così semplice.

Un Pride schedato?

I Pride israeliani sono sempre al centro di polemiche che smascherano le ipocrisie politiche. Quest’anno non siamo ai livelli del 2016, quando le associazioni arcobaleno, stanche di essere strumentalizzate dal governo Netanyahu, avevano minacciato di far saltare la manifestazione di Tel Aviv, ma lo scontro è comunque forte.

La polizia ha annunciato che per accedere alla marcia del Pride di Gerusalemme sarà necessario mostrare un documento di identità e non è chiaro se i partecipanti verranno schedati o meno. In ogni caso le associazioni rifiutano questa soluzione che allontanerebbe dalla manifestazione le molte persone che temono di rivelare il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.

Le forze dell’ordine insistono però che sarebbe una misura di sicurezza necessaria contro possibili attentati da parte di fondamentalisti ebraici. La paura è che si ripetano attacchi come quello del 2015, quando un esaltato religioso uccise una ragazza di 16 anni. Il paradosso è che lo stato vuole chiudere le porte del Pride a gruppi politici estremisti a cui Netanyahu ha aperto le porte della maggioranza politica!

Offensiva fondamentalista

Ma le polemiche non si fermano qui. Aryeh Stern, rabbino capo aschenazita di Gerusalemme, cioè la massima autorità ebraica israeliana insieme al rabbino capo sefardita, ha scritto al sindaco di Gerusalemme, Moshe Lion: “Purtroppo devo affrontare la dolorosa questione della ‘parata‘: so che per legge il sindaco non ha l’autorità per evitare la parata, tuttavia ti chiedo almeno di ordinare di non appendere le bandiere [arcobaleno; ndr], che deturpano la città. Ho fiducia nel fatto che agirai con giudizio e ci risparmierai questo disagio“.

Il comune, quando la lettera privata è finita sui giornali, ha dovuto scrivere un comunicato per assicurare la presenza delle bandiere perché così è imposto da una sentenza giudiziaria.

L’offensiva del fondamentalismo ebraico sul comune di Gerusalemme non si è comunque limitata alla lettera del rabbino capo. Una commissione municipale ha deciso di cancellare i fondi (500mila shekel, quasi 125mila euro) finora destinati all’organizzazione arcobaleno Jerusalem Open House for Pride and Tolerance (Casa aperta di Gerusalemme per l’orgoglio e la tolleranza). Il sindaco ha comunque già annunciato che il consiglio comunale ribalterà la decisione della commissione, anche perché, anche in questo caso, la misura pro-LGBTQIA è stata imposta da una sentenza e non è il frutto di una volontà politica.

Contraddizioni e divisioni

Insomma, più che paradiso o inferno, Israele è il campo di battaglia di forze opposte, spesso ferocemente ostili tra loro. Il potere legislativo ed esecutivo è saldamente nelle mani di estremisti di destra, fondamentalisti ebraici, razzisti e omofobi, mentre il potere giudiziario difende la laicità e i diritti, almeno per gli ebrei. La società è divisa e né i fanatici religiosi né gli attivisti LGBTQIA la rappresentano davvero.

La situazione idilliaca per le minoranze sessuali è un’immagine contestata prima di tutto dalle stesse minoranze sessuali e che va bene solo per i cartelloni pubblicitari e la propaganda più grossolana, ma è altrettanto sbagliato (quando non venato da descrizioni antisemite sugli “ebrei infidi”) ridurre l’intero Israele (politica, società, cultura) alle ipocrisie e ai crimini del suo governo.

Per capire questo paese ricco di contraddizioni occorre evitare ogni semplificazione, compresa quella di uno scontro tra società e religione: anche l’ebraismo israeliano è profondamente diviso al proprio interno. E così, mentre Aryeh Stern deprecava le libertà delle persone LGBTQIA, a Gerusalemme per la prima volta veniva ordinato rabbino ortodosso un uomo dichiaratamente gay, lo statunitense Daniel Atwood, la cui ordinazione era stata rifiutata a New York.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Peter Tkac (CC BY-SA 2.0) / da U.S. Embassy Jerusalem (CC BY-SA 2.0)

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