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Aneste Mweru era un ragazzo ugandese di circa 28 anni. Emigrato in Kenya nel 2017, era riuscito a ottenere lo status di rifugiato solo nel marzo dello scorso anno. Pochi giorni fa, il suo corpo senza vita è stato ritrovato appena fuori dalla sede dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) di Nairobi. Secondo le prime ricostruzioni ufficiali, il giovane ugandese si sarebbe suicidato impiccandosi a un albero.

Le motivazioni del gesto non sono ancora state chiarite, anche se la polizia ipotizza che il ragazzo si sia tolto la vita in seguito a una precedente – e molto accesa – discussione con alcuni agenti dell’UNHCR, a cui Mweru si sarebbe rivolto per ricevere assistenza e un po’ di cibo. La ricostruzione però non convince ancora del tutto e sono in molti a credere che la decisione di Aneste sia strettamente collegata alla sua storia e, soprattutto, alla situazione di grave disagio e precarietà legata anche al suo orientamento sessuale.

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Emarginati e soli

Essere omosessuali in Kenya può rivelarsi un’esperienza estremamente difficile, se non addirittura drammatica. Per quanto sia vero che, rispetto al passato, siano stati fatti numerosi passi avanti verso l’accettazione della comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), non si può comunque credere che i problemi siano spariti come per incanto. Il Kenya è e rimane una nazione profondamente legata ai valori cristiani, nonché alle famigerate “sodomy laws”, introdotte ai tempi della dominazione inglese, che prevedono la detenzione fino a 14 anni per accuse legate all’omosessualità.

uomo kenya africa magliettaGli stessi campi profughi – denunciano gli attivisti e gli stessi rifugiati – non sembrano essere luoghi sicuri e sono anzi caratterizzati da una forte componente omofoba. Come se non bastasse, le norme che regolano l’acquisizione dello status di rifugiato nel paese africano danno vita a una trafila burocratica davvero lunghissima, tanto che molti richiedenti asilo impiegano anche cinque anni per vedere soddisfatta la loro richiesta di protezione. Nel tempo che intercorre tra domanda e risposta, al richiedente asilo non è concessa nemmeno la possibilità di lavorare.

Se questo sembra già abbastanza terribile, vale la pena ricordare che in Uganda, il paese di origine di Aneste, la situazione è mille volte più tragica e che le continue persecuzioni nei confronti degli appartenenti alla comunità LGBTQIA sono una delle principali ragioni che spingono le persone ad abbandonare la propria terra di origine per cercare rifugio in altri stati.

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Emergenza coronavirus

L’espandersi del COVID-19 nel continente africano sta avendo conseguenze davvero nefaste (anche) nell’ambito della gestione degli aiuti offerti a richiedenti asilo e rifugiati. “Da quando è iniziata l’emergenza legata al coronavirus non abbiamo più nessuno che ci aiuti” ha spiegato a The Star un rifugiato somalo, che nella breve intervista ha anche accusato l’UNHCR di non essere in grado di affrontare questa situazione di grande difficoltà con strumenti e mezzi adeguati. “Invece di darci una mano e di fornirci del cibo, i responsabili del centro hanno preferito agire con violenza malmenando il nostro compagno” ha sottolineato il giovane, avvalorando così l’ipotesi che prima del suicidio Aneste sia effettivamente stato picchiato.

“Profondamente scioccati”: così si sono detti i responsabili dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite, che per bocca di Fathiaa Abdalla, responsabile delle attività dell’UNHCR in Kenya, hanno espresso grande dolore e rammarico per la triste fine del giovane ugandese. “L’UNHCR mantiene un continuo e costante contatto sia con la comunità di rifugiati che con le autorità locali per garantire il pieno soddisfacimento dei bisogni e delle necessità dei richiedenti asilo” ha sottolineato Abdalla, assicurando inoltre che sarà fatto tutto il possibile per fare chiarezza sulle motivazioni legate alla tragica morte di Aneste Mweru.

Nicole Zaramella
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: Il Grande Colibrì / elaborazione da Mwabonje (CC0)

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