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Nello stesso periodo in cui Morel pubblicava la teoria della degenerazione (per approfondire: Il grande colibrì), Charles Darwin donava al mondo la sua opera più famosa: “L’origine delle specie”. Nel 1859 infatti, dopo ben quindici anni di lavoro e di modifiche, lo scienziato inglese decise di rendere pubbliche le sue conclusioni.

Charles Darwin giunse alla teoria dell’evoluzione grazie ad una grande quantità di dati raccolti durante il suo viaggio di ben cinque anni sul Beagle, una nave dove il giovane Darwin era imbarcato come naturalista. Egli comprese il meccanismo fondamentale dell’evoluzione superando le concezioni di Lamarck una volta per tutte. Gli esseri viventi si modificano nel tempo dando origine a nuove specie grazie alla selezione naturale. Nella competizione per la sopravvivenza infatti i più adatti all’ambiente sopravvivono e quindi si riproducono, trasmettendo i loro caratteri.

Darwin non esclude la possibilità della trasmissione di caratteri acquisiti, che era alla base della teoria di Lamarck (per approfondire: Il grande colibrì), ma sostiene che l’uso e il disuso di un organo non sono che marginali nella determinazione delle caratteristiche della progenie. La deduzione del naturalista è supportata nella sua opera da moltissimi esempi e dati. Interessante, per chi fosse interessato, il discorso sulla selezione artificiale delle varietà domestiche, dal quale Darwin trae spunto per cercare di comprendere quel che accade in natura.

Le idee di Darwin diedero nuova linfa alla neonata teoria della degenerazione. Se infatti la teoria di Lamarck convinceva poco e dava molti dubbi rendendo instabili le basi stesse della degenerazione, Darwin, con la sua teoria assai più credibile, rende l’evoluzione cosa ormai certa e rafforza, pur senza intenzione, la teoria di Morel.

Darwin infatti non parla mai di degenerazione e non tocca l’argomento dell’evoluzione umana. Il fatto però di aver confermato l’evoluzione e di non aver smentito la possibilità che caratteri acquisiti fossero trasmissibili, rafforzò le idee dello psichiatra francese. Non si può certo attribuire a Darwin la responsabilità delle conseguenze. Come ogni naturalista, egli cercava di descrivere la realtà e i suoi meccanismi e le conoscenze scientifiche dell’epoca non permettevano di smentire del tutto Lamarck.

Insieme alla teoria della degenerazione, furono rafforzate notevolmente le idee di razzisti e omofobi. Nacque il “darwinismo sociale“, un’ideologia aberrate che prese presto piede. Alla base c’è ancora la visione materialista nata con l’illuminismo che pretendeva di spiegare la società e le sue dinamiche come manifestazione della natura. Così come la selezione naturale favorisce il più adatto in natura, così fa la società.

Il darwinismo sociale non si limita però alla semplice analisi della società. Il passo successivo è tanto semplice quanto atroce: avendo l’uomo la ragione può sfruttare la selezione per migliorare la società eliminando i meno adatti e velocizzando un meccanismo che avrebbe comunque portato alla scomparsa degli stessi. A volte addirittura queste idee furono spacciate come magnanime e pietose perché si evitavano, a detta loro, sofferenze inutili a persone condannate a perire dalla natura.

Alla base di queste aberrazioni c’è però una cattiva conoscenza dell’opera di Darwin. Chiunque conosca il suo trattato infatti può trovarvi diversi elementi utili per smentire tanto il razzismo quanto l’omofobia. Darwin non si occupa, come dicevamo, della specie umana e non cita mai l’omosessualità. Eppure alcuni elementi della sua teoria sono potenti strumenti per interpretare alcuni fenomeni in chiave naturalistica (anche se non li si può limitare a questo) e per negare ogni validità alle tesi razziste. Vediamoli un po’ più in dettaglio.

Il primo punto: l’analisi del concetto di razza. Si definisce razza (o varietà nel caso delle piante) un gruppo di individui con caratteristiche sufficientemente simili e costanti da definirli come gruppo e sufficientemente differenti da quelle degli altri individui della stessa specie. Per fare un esempio: tutti riconoscono due alani come appartenenti alla stessa razza e nessuno mette in dubbio che un alano e un barboncino siano di due razze differenti.

Sembra semplice ma non lo è per nulla. Se infatti alani e barboncini sembrano nettamente divisi in due razze è perché nei millenni di selezione si sono perse le forme intermedie. In natura invece spesso si ritrovano. Basta guardare le popolazioni umane. È semplice dire che un sudanese nilotico nero come il carbone e uno svedese bianco come la neve sono di due razze diverse. Più complicato è stabilire il limite delle razze. Se camminiamo in un immaginario viaggio dalla Svezia al Sudan vedremo la pelle scurirsi gradualmente e non sapremo dire dove finisce la “razza bianca” e dove inizia la “razza nera”.

Il tentativo ottocentesco di catalogare le razze umane (o etnie che dir si voglia) finì con un fallimento totale. Ogni volta che si creavano dei gruppi ci si accorgeva che anche all’interno dei gruppi stessi c’erano differenze sostanziali. Come si possono mettere nello stesso gruppo pigmei e vatussi? Si giunse così ad avere elenchi infiniti e privi di senso. Se avessero letto più attentamente l’opera di Darwin si sarebbero risparmiati un sacco di lavoro.

Addirittura il naturalista mette in dubbio il valore della specie. Fino a Darwin la definizione era semplice e sembrava assai funzionale. Due individui appartengono alla stessa specie se possono riprodursi fra loro o con un terzo individuo comune e dare figli fertili. Peccato che, soprattutto tra le piante, si abbiano casi di individui della stessa specie tra loro intersterili e individui di specie diverse che danno figli fertili. Oggi la cosa si spiega facilmente. Questione di poliploidia (wiki). Ai tempi di Darwin però il DNA non era ancora conosciuto.

Anche per la specie Darwin pone gli stessi dubbi che per la razza. La specie, vista da un’ottica evoluzionista, altro non è che una razza ben consolidata e con caratteristiche ben stabilite. Tra una specie qualunque e un’altra si potrebbe costruire una linea continua di individui intermedi viventi o vissuti e non si riuscirebbe a stabilire il confine di una specie e dell’altra. Immaginiamo un individuo A e un individuo E. La catena sarebbe A – B – C – D – E. A ed E sono troppo diversi per riprodursi tra loro e avere figli fertili e quindi diremo che sono di specie diverse. Ma A si riproduce con B, a lui simile, B con C, C con D e D con E. Dov’è quindi il confine tra le due specie?

Osservando la natura sembra che le specie siano distinte tra loro in modo netto perché le forme intermedie sono per lo più estinte. Se dunque il concetto di razza (e perfino quello di specie) non hanno senso se non come definizioni artificiose utili solo a descrivere, il razzismo vede crollare la sua base ideologica: come si può parlare di gerarchia tra le razze se non se ne riesce nemmeno a stabilire il confine?

Altro punto è la questione della sopravvivenza del più adatto. Secondo il darwinismo sociale era necessario eliminare (o almeno emarginare) i meno adatti per fortificare e migliorare la specie impedendo a costoro di indebolirla e portarla all’estinzione. C’è un problema però: secondo la teoria di Darwin, quale individuo sia il più adatto lo si vede solo dopo la selezione stessa e nemmeno subito, ma generazioni e generazioni dopo. Immaginiamo due topolini, uno più forte e l’altro più veloce. Chi è il più adatto? Dipende dalle condizioni ambientali.

Osservando la vita, e soprattutto la morte, dei due topolini potremo vedere quale delle due caratteristiche sia risultata vincente. Dovremo però attendere un bel po’. Se infatti il topolino veloce muore catturato da un gatto nessuno ci autorizza a pensare che fosse il meno adatto. Può darsi semplicemente che sia stato più sfortunato. Sul grande numero dei topolini però la caratteristica potrebbe dare vantaggi. Molte generazioni dopo potremo quindi vedere chi era il più adatto tra i nostri due individui semplicemente osservando se la popolazione di topolini è divenuta più forte o più veloce.

È quindi impossibile intervenire a priori (oltre che ingiusto e immorale) per il semplice motivo che non si è in grado di stabilire chi sia il più adatto. Ogni tentativo di creare una gerarchia dei più o meno adatti e ogni discriminazione basata su teorie pseudoscientifiche è e sarà sempre un puro e semplice sfoggio di violenza, ignoranza, pregiudizio.

Il prossimo punto di cui voglio parlare è più complesso e raffinato e incide in modo particolare sull’omofobia. Per dimostrare come la teoria darwiniana dia gli strumenti per abbattere il pregiudizio omofobo del “contro natura” devo parlarvi delle formiche. Vi chiederete cosa c’entrino le formiche con i gay. Ora ve lo spiego.

Le formiche diedero non poco filo da torcere a Charles Darwin. La selezione naturale presuppone la riproduzione, unico mezzo con cui, in natura, i caratteri dei più adatti possono essere trasmessi alla progenie. Il fatto è che le formiche operaie non si riproducono. Le uniche formiche fertili infatti sono le regine e i maschi. Come hanno potuto evolversi quindi queste formiche sterili? Come può aver agito su di loro la selezione? Semplice: agendo a priori, sui genitori. In pratica, la regina che genera operaie sterili migliori sarà favorita perché meglio nutrita, servita e accudita. In questo modo la natura ha selezionato le regine che avevano operaie più adatte e ha permesso l’evoluzione di questi insetti.

Cade così, per quanto ci riguarda, il pregiudizio secondo cui la mancata riproduzione di un individuo dimostra il suo essere inadatto. La natura ragiona sulla specie, sulla collettività e non sull’individuo. Un individuo (o anche la quasi totalità degli individui, come tra formiche) può essere sterile o non riprodursi per altri motivi se questo comporta un maggior vantaggio per la comunità nel suo complesso.

Anche l’omosessualità rientra in questo caso. Sono infatti molte le specie in cui si formano coppie stabili omosessuali (fenicotteri, pinguini…) che adottano quei piccoli che non possono essere allevati dalle coppie eterosessuali permettendo così un maggior successo riproduttivo alla comunità. Ma il sesso tra le specie più complesse (mammiferi e uccelli, fondamentalmente) non serve solo alla riproduzione. Esso è usato spesso per rinsaldare e stabilire rapporti sociali e gerarchie all’interno della comunità. È una questione di istinto e l’istinto è il soggetto dell’ultimo punto di cui voglio parlare.

Anche i comportamenti istintivi sono stati, nel corso dell’evoluzione, selezionati. Darwin notò come gli istinti abbiano molte e diverse sfumature e gradazioni dovute alla diversità tra gli individui. Queste diversità rendono l’individuo più o meno adatto all’ambiente rispetto a un altro e quindi offrono alla natura materiale su cui agire con la selezione. Anche gli istinti sessuali e in particolare omosessuali non fanno eccezione. Basti vedere come tra le persone ci siano atteggiamenti diversi e diversi gradi di omosessualità. Non si possono dividere gli esseri umani in omosessuali ed eterosessuali. Ci sono, nel mezzo, infinite gradazioni.

Il fatto che esistano casi (e non pochi) di omosessualità totale o quasi e di coppie gay o lesbiche stabili dimostra che la selezione ha agito in tal senso perché, evidentemente, qualche vantaggio la specie ne ha tratto. Negare questo fatto oggi, con le conoscenze che la scienza ha ormai acquisito, è mera stupidità. O malafede. La riproduzione non è strettamente necessaria, come abbiamo visto, perché un individuo porti un vantaggio all’umanità. E questo considerando solo l’aspetto puramente biologico che non è l’unico e forse nemmeno il più importante, essendo la nostra società culturale e non naturale.

Vi chiedo scusa per la lunghezza dell’articolo, ma credo che Darwin meriti di essere trattato bene. Mi sono dilungato per cercare di descrivere al meglio la teoria e i suoi rapporti con razzismo e omofobia (rapporti non subito evidenti se si legge l’opera di Darwin) e perché ho ritenuto giusto smentire certe voci che vorrebbero definire razzista la stessa opera di Darwin. Un uomo non può essere ritenuto responsabile delle azioni e delle idee di chi deforma le sue teorie o non le comprende.

Il darwinismo sociale non dovrebbe essere chiamato così perché di darwiniano non ha nulla. I sostenitori di queste ideologie violente e discriminatorie non avevano minimamente compreso la teoria dell’evoluzione di Darwin o la citavano in malafede per dare un’apparente fondatezza scientifica ai loro pregiudizi. Vi consiglio davvero di leggere “L’origine delle specie” (ascolta): ne vale la pena!

 

Enrico
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