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#Lan_Asket: l’hashtag che sta creando polemiche in Kuwait significa letteralmente “Non starò zitta”, ma potremmo tradurlo anche come “#MeToo”. È infatti usando queste due parole che le donne kuwaitiane denunciano le molestie e le violenze che subiscono ogni giorno. Le testimonianze sono raccolte su una pagina Instagram creata da una medica di 27 anni, Shayma Shamo.

Shamo è ben consapevole della rottura culturale del suo progetto: “Il silenzio non è più un’opzione: dobbiamo parlare, unirci e difenderci l’un l’altra. Quello che succede è inaccettabile”. Ed è inaccettabile il fatto di nascondere sotto il tappeto i commenti osceni, le mani che si allungano, i rapporti sessuali rubati con l’inganno, la minaccia o la violenza. Shamo rievoca la parola chiave che nel mondo arabo garantisce l’omertà intorno alla violenza maschile: عيب (eib; vergogna). “Andare dalla polizia è eib, parlare di molestie è eib”. È la stessa parola che schiaccia le minoranze sessuali, come ha magistralmente raccontato Saleem Haddad nel suo bellissimo romanzo “Ultimo giro al Guapa”.

Molestie e kafala

Shamo ha aperto la sua pagina Instagram dopo essere stata una delle milioni di persone che settimana scorsa ha visto il video della fashion blogger Ascia Al-Faraj, in cui la ragazza ha denunciato il sessismo del paese: “Ogni volta che esco, qualcuno mi molesta o molesta un’altra donna per strada. Ma non vi vergognate? In questo paese abbiamo un problema di molestie… e io sono stufa!”.

Tra le storie più drammatiche, spiccano quelle delle donne immigrate in Kuwait, soprattutto dal subcontinente indiano e dalle Filippine, per essere impiegate come domestiche o personale per le pulizie nelle abitazioni delle famiglie ricche. I padroni di casa trattano queste donne come proprie schiavi, anche sessuali. In effetti nel paese vige, tanto per queste donne quanto per gli uomini che lavorano soprattutto nell’edilizia, un vero e proprio sistema schiavistico basato sulla كفالة (kafala; patrocinio), secondo cui il datore di lavoro diventa responsabile e sostanzialmente padrone del passaporto e dello status legale delle persone straniere che lavorano per lui.

egitto donna araba tristeFemminicidi in Libano

Intanto un altro paese arabo, il Libano, affronta il tema dei diritti delle donne, concentrandosi in questo caso sulle violenze coniugali e i femminicidi. Due recenti “delitti d’onore” avvenuti nella capitale Beirut hanno fatto scandalo: Zeina Kanjo è stata uccisa in casa dal marito, che, una volta fuggito in Turchia, ha persino avuto l’ardire di farsi intervistare per giustificare il suo omicidio accusando la moglie di aver avuto una relazione extraconiugale (storia a quanto pare infondata, per quanto questo possa valere), mentre Lara è stata assassinata per strada perché aveva chiesto il divorzio e il pagamento degli alimenti per i figli. La particolare ferocia di quest’ultimo delitto, con l’uso di un tirapugni e di un pugnale, ha sconvolto l’opinione pubblica.

Il quotidiano L’Orient-Le Jour, uno dei giornali più importanti del mondo arabo, punta il dito contro la “mentalità patriarcale” che spinge gli uomini “ad arrogarsi il diritto di vita e di morte sulle loro consorti” e appoggia la richiesta di una riforma che garantisca a tutta la cittadinanza libanese gli stessi diritti in modo laico. Oggi, invece, il diritto di famiglia è gestito da tribunali religiosi in base all’appartenenza alle diverse comunità di fede delle persone ricorrenti. E, come denuncia il sito arabo liberale Raseef22, i tribunali religiosi scrivono le proprie sentenze applicando ancora l’arcaico principio dell’onore, dando ragione quasi sempre agli uomini.

Pier Cesare Notaro
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da wahyucupitu7grafi (CC0) / da pxfuel (CC0)

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