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Come sanno bene i nostri lettori e i sostenitori della campagna “Allah Loves Equality“, anche i Pride con più persone e nei posti più tranquilli possono comportare pericoli e minacce. Ma mentre a Milano ad essere inquietanti sono le minacce di morte anonime che arrivano tramite social network e messaggi dopo che la parata ha ricevuto grande consenso popolare e l’appoggio delle istituzioni, altrove – come a Istanbul – i divieti, le minacce e i pericoli arrivano anche e soprattutto da parte di chi normalmente è individuato come quello che dovrebbe garantire la sicurezza delle manifestazioni di piazza: la polizia.

Va detto intanto che la Turchia di oggi è molto diversa da quella di cinque anni fa, in cui già le proteste del parco Gezi di Istanbul erano mal tollerate. In questi anni il potere del presidente islamista Recep Tayyip Erdoğan si è molto rafforzato attraverso elezioni e referendum dal risultato non sempre cristallino.

Istanbul: l’ennesimo Pride proibito

E va ricordato che il divieto arrivato per la manifestazione di quest’anno altro non è che una replica di divieti simili che nel corso degli ultimi quattro anni si sono susseguiti senza tregua. E il corteo che si è svolto domenica, nonostante i divieti del governatore e il dispiegamento in forze della polizia, ha seguito un po’ lo stesso copione dello scorso anno, quando pure  piccoli gruppi di persone LGBT erano scesi in piazza, salvo essere poi dispersi dai lacrimogeni e arrestati in massa.

In ogni caso, anche quest’anno il governatore ha fatto sapere che il Pride era vietato per questioni di sicurezza – come se la sicurezza potesse essere messa a rischio da una marcia pacifica di persone che chiedono semplicemente di esistere, essere riconoscibili, riconosciute e considerate esattamente come le altre.

Ma gli attivisti che domenica sono scesi in piazza erano più dei piccoli gruppi che già avevano sfidato il divieto negli anni scorsi. Centinaia, se non forse migliaia di persone si sono infatti ritrovate nel centro di Istanbul per attraversare le strade e mostrare il proprio orgoglio, leggere un comunicato e festeggiare con canti e balli.

La repressione violenza della polizia

Dapprima la polizia è intervenuta solo contro i gruppi che si allontanavano da via Mis, che è stata il centro pulsante della manifestazione. Alcuni attivisti sono stati picchiati, ad altri sono stati aizzati contro i cani, mentre la gran parte ha dovuto proteggersi da lacrimogeni e proiettili di gomma. Un attivista locale ha raccontato a Yuri Guaiana, capo-direttore delle campagne di AllOut che era presente alla manifestazione e che ha diffuso diverse dirette su Facebook dalla manifestazione, di aver subito un attacco da 10 poliziotti con i cani.

Alla fine le forze dell’ordine sono intervenute anche contro il gruppo più corposo di partecipanti, arrestando 11 attivisti.

Guaiana, che pure non è nuovo ad esperienze a rischio (poco più di un anno è stato arrestato a Mosca per aver tentato di consegnare due milioni di firme di persone che avevano sottoscritto una petizione sui crimini commessi contro omosessuali in Cecenia), osserva: “Il Pride è un privilegio che troppi di noi danno per scontato. Dopo oggi non potrò più pensare al Pride nello stesso modo di prima“.

Naturalmente la battaglia continua perché siano liberati gli attivisti incarcerati domenica (e quelli che sono già da tempo in prigione, in un paese sempre più in guerra con il mondo e con le libertà). E da oggi si comincia anche a pensare al Pride di Istanbul del 2019 che, come sempre, sarà proibito dalle autorità. E che, proprio per questo, dovrà avere tutta la nostra attenzione come tutte le libertà che vengono negate.

Michele Benini
©2018 Il Grande Colibrì
foto: ©AllOut per Il Grande Colibrì

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